2° Venerdì Santo: la Pasqua dell’Agnello Immolato
Il secondo momento della Pasqua di Cristo è l’immolazione dell’Agnello. La tradizione pasquale mette in luce il compimento delle profezie delle figure della Pasqua ebraica nel drammatico mistero della morte in croce di Gesù. La Pasqua d’Israele ha il suo compimento nella passione e morte di Gesù. L’agnello immolato dagli Israeliti prefigura l’Agnello immolato e immacolato che è il Cristo Signore.
Quando Gesù fu inchiodato in croce e morì, soltanto lo sguardo di purissima fede accolse la verità che su quel legno d’infamia si compiva un arcano disegno d’amore divino. La croce non può attirare lo sguardo né del pagano che la considera segno d’impotenza, né del greco che, appassionato dell’ordine e della bellezza creatrice d’insuperabili capolavori, la vede come strumento d’insipienza. Non può essere capita nemmeno dall’ebreo, che giudica la croce come segno di abbandono e di maledizione divina.
Il Venerdì Santo si può accogliere soltanto nella condizione della pura fede. Solo nell’obbedienza di Gesù, che si “svuota” nell’estrema umiliazione, si rivela l’insondabile mistero d’amore del nostro Dio “possibile”. Nel gesto commosso e adorante dei santi Riti, la Chiesa, all’interno del silenzio del Padre, contempla i segni dei gemiti del Figlio Crocifisso.
Se Adamo non accolse il dono di essere figlio di Dio, perché volle essere “come Dio”, Gesù gioì della sua figliolanza con Dio e per questo celebrò il suo Fiat accettando non solo l’Incarnazione ma anche la Crocifissione redentiva. Sulla croce, infatti, il nostro Maestro e Signore consegnò la sua vita nelle mani del Padre e per amore la riportò alle origini.
Di fronte alla croce di Cristo, diventata la croce di ogni uomo, per il fatto che la vediamo senza vita, senza splendore e senza forza, non dobbiamo avere reazioni sfiduciate di rigetto o di disperazione, ma atteggiamenti di venerazione contemplante e adorante. Gesù lasciò i suoi discepoli partecipi della sua passione perché la vivessero con lui e in lui che consegna il suo Corpo dato e il suo Sangue effuso.
La croce esige adorazione perché è sacrificio da cui nascono il nuovo Adamo e la nuova umanità redenta. Adorare, dal latino ad os, significa baciare e mangiare: baciare la Croce, mangiare l’Eucaristia. La celebrazione dell’Eucaristia, infatti, alimenta la fede per possedere la forza di portare la nostra croce quotidiana. L’Eucaristia, anche se non è ancora risurrezione finale, è già pegno di gloria futura.
Il Venerdì Santo è giorno di riconciliazione in Cristo con il Padre e con i fratelli. Gesù in croce, facendoci partecipi della figliolanza divina, crea la nuova umanità filiale e fraterna. E’ Pasqua di risurrezione ed è già nuovo Paradiso. Nelle sue omelie pasquali, Melitone di Sardi, con tocco di bellezza teologica, così fa dire a Cristo: “Ricevete la remissione dei peccati. Io sono la vostra remissione. Io sono la Pasqua della salvezza. Sono io l’Agnello immolato per voi, vostro riscatto e vostra vita, vostra luce e vostra salvezza, vostra risurrezione e vostro Re” (In S. Pascha, n. 103). Cristo immolato è dunque la nostra Pasqua. Mangiamo, dunque, la Pasqua di Cristo perché egli nutre tutti quelli che salva.